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lunedì 2 settembre 2013

Antichi Liguri: dai Primordi ai Megaliti

Ricostruzione di una
 banda di antichi
cacciatori-raccoglitori
 liguri nel Finalese.
Gli antichi Liguri (dal greco "Λιγυες", ovvero Ligues, e in latino "Ligures"), furono un popolo autoctono dell'Europa occidentale e atlantica, già stanziato in Europa almeno 10.000 anni fa e quindi di probabile derivazione dall'Uomo di Cro-Magnon le cui testimonianze sono state ritrovate in Liguria, Costa Azzurra e sud della Francia. Le più antiche popolazioni Liguri si erano insediate lungo la costa e nell'entroterra dei mari che ora si estendono dal nord-ovest dell'Italia (compresa tutta la pianura Padana ), sud della Francia e in Spagna, e tra Andalusia, Portogallo, Galizia e Paesi Baschi, da cui sembra si siano diffuse, via mare, nella Bretagna e costa atlantica francese, in Irlanda e nel meridione dell'Inghilterra.
Il professor Adolf Schulten, considerava ligure l'intera penisola spagnola prima dell'invasione della stirpe iberica (camita-berbera) dall'Africa del 6.000 a.C., e pensava che la lingua basca fosse una reliquia ligure.
Carta dell'espansione dei Liguri nel II millennio a.C.
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Il popolo basco è stato da lunghi decenni oggetto di numerosi studi, sia dal punto di vista etnico, linguistico e biologico, con l'intento di chiarire l'antica origine di questa popolazione, e dal punto di vita biologico è stata riscontrata la presenza, in una forte percentuale della popolazione (circa il 30% - 35%), del fattore Rh negativo.
Gli studi condotti portano ad ipotizzare che l'origine del popolo basco sia da ricondurre alle antiche popolazioni umane che, autoctone, abitavano l'Europa durante il paleolitico e che, a seguito dell'ultima glaciazione, si sono insediate nell'attuale area dei Paesi Baschi.
Euskadi, i Paesi Baschi, nel nord
ovest della Spagna
Se quindi i Baschi appartenevano ad una famiglia di popolazioni Liguri, o proto-Liguri, si evince che la genesi Ligure è autoctona.
A sostegno di quest'ipotesi è anche la mappa degli aplogruppi del cromosoma Y in Europa. L'Aplogruppo R1b (Y-DNA), viene ritenuto essere la più antica linea genetica europea, associata ad un effetto del fondatore verificatosi nell'Europa centro occidentale. Le popolazioni stanziatesi in Italia dal Mesolitico sono caratterizzate da alte frequenze di R1 (xR1a1), condizione che si ritrova ad oggi nelle popolazioni basche, ritenute le più somiglianti geneticamente ai primi europei. (Vedi la mappa qui di seguito, nel 10.000 a.C.)
La longevità della civiltà dei Liguri è dovuta al ruolo decisivo che hanno avuto, dall'età del Bronzo in poi, nel reperimento di metalli preziosi (argento e oro) , di minerali (come la cassiterite, da cui si ricava lo stagno che, legato al rame, da il bronzo), nella conoscenza delle tecnologie metallurgiche per la produzione di metalli (bronzo, argento) e la commercializzazione stessa, anche via mare, di bronzo, piombo, sale, oro, argento e dell'ambra, proveniente dalle coste baltiche, anche se non possediamo documenti, scritti, informazioni sulle loro navi, sul loro stato sociale, provenienti da loro: quello che ci hanno trasmesso è nell'espressione megalitica e negli antichi petroglifi. Del loro nome, della loro cultura, del linguaggio e costumi ne parlano i primi storici Greci e Latini, oltre alla mitologia, perlopiù dei Greci antichi.
Carta delle popolazioni dell'Europa sud-occidentale, fra cui i Liguri, durante
la II guerra Punica, 218 a.C. - Clicca sull'immagine per ingrandirla
Questa mancanza di informazioni è indubbiamente motivata da una strenua difesa dei propri traffici e commerci in un'Europa che era meta di continue ondate migratorie da est.
Certamente si mischiarono alle popolazioni iberiche prima, ai greci di Focea e ai Celti poi, tanto che alcune tribù definite Celtiche erano Liguri, come i Taurini, i Friniati, ecc., ma rimasero Liguri  fra il Rodano e l'Arno, da ovest a est e fino al Po a nord.
Anche se si allearono ad Annibale nella II guerra punica contro Roma, Annibale non si azzardò a passare dalla Liguria... preferì valicare le Alpi, a prezzo di molte perdite, non solo umane.

Dal 950.000 a.C. - Il più antico sito europeo dell'Homo Erectus è la grotta del Vallonet sulla Costa Azzurra databile tra i 950-900.000 anni fa. In questa grotta sono stati trovati strumenti in pietra e anche schegge lavorate in osso che costituiscono i resti più antichi di strumenti preistorici in Europa. Non sono ancora presenti strumenti bifacciali. La grotta di Vallonet, nei pressi di Mentone, che segna il confine fra Francia e Italia sulla Costa Azzurra, è al momento il più antico abitato in grotta attualmente conosciuto in Europa. Lo studio delle faune rinvenute nei sedimenti archeologici (in particolare resti di elefanti, ippopotami, bovidi, cervidi, suidi) ha permesso di attribuire al giacimento un'età compresa fra 1,3 e 0,7 milioni di anni mentre lo studio del paleomagnetismo del riempimento della grotta la colloca all'episodio "di Jaramillo", periodo in cui il Campo Magnetico Terrestre era inverso rispetto ad oggi, tra 0,95 e 0,9 milioni di anni. L'industria litica comprende strumenti su ciottolo e su scheggia.

Grimaldi - Falesia con grotte dei Balzi Rossi
Dal 300.000 a.C. - Presso il porto di Nizza, a Terra Amata, sono state ritrovate le tracce delle più antiche capanne costruite da cacciatori nomadi, circa 300.000 anni fa, nel corso della glaciazione di Mindel (avvenuta 455.000-240.000 anni fa).
La stratigrafia ha mostrato diversi periodi insediativi, con resti di capanne ovali a focolare centrale, ciottoli scheggiati, raschiatoi e animali catturati quali cinghiali, tartarughe, rinoceronti di Merk, elefanti meridionali, uri, uccelli vari.
Nelle grotte dei Balzi Rossi in prossimità di Ventimiglia, sono stati ritrovati resti di Homo Erectus datati a oltre 230.000 anni fa, oltre a tracce di uomo di Neandertal (da 130.000 anni fa) e resti di Homo Sapiens assimilabili all'Uomo di Cro-Magnon.
Le Grotte dei Balzi Rossi sono situate in prossimità del confine Italo-Francese, in Liguria nel comune di Grimaldi, a pochi chilometri da Ventimiglia. Le grotte si aprono ai piedi di una barriera rocciosa composta da calcare Jurassico-Dolomitico la cui altezza è di circa 100 metri. Il nome del luogo deriva dal colore delle rocce, che nel dialetto locale vengono indicate come "Baussi Russi" (Pietre Rosse). Il sito consiste di 7 grotte chiamate: Grotta del Costantini, Grotta dei Fanciulli, Grotta del Florestano, Grotta del Caviglione, Barma Grande (Barma vuol dire grotta), Barma du Bausu da Ture (che nel dialetto vuol dire Grotta della rocca della torre) e Grotta del Principe. Solo le grotte del Caviglione e Florestano possono essere visitate ma i due piccoli musei offrono ampie e dettagliate spiegazioni sul contenuto delle grotte e vi si trovano anche numerosi scheletri o calchi dei medesimi, foto e oggetti rinvenuti durante gli scavi archeologici.
Le grotte sono state frequentate dall'uomo dal Paleolitico Inferiore, tracce di queste antiche presenze sono molto limitate a causa delle frequenti variazioni del livello dei mari, verificatesi nel corso delle fluttuazioni climatiche del Pleistocene. Le ossa più antiche ritrovate appartenevano ad una femmina di Homo Erectus (età assoluta oltre i 230.000 anni) vissuta prima della Glaciazione di Riss. 
Graffito di equide nella grotta
del Caviglione - Balzi Rossi
Come le acque si ritirarono, 70.000 anni fa, l'uomo riprese a frequentare le caverne, lasciandovi tracce di focolari e iscrizioni rupestri come mostrato dalle immagini.
Iscrizione rupestre ai Balzi Rossi
Nell'iscrizione rupestre a sinistra è ancora possibile scorgere il profilo di un cavallo. Gli uomini che vissero durante il Medio Paleolitico non lasciarono scheletri ma si suppone che appartenessero all'Uomo di Neanderthal. Questo gruppo di abitanti continuó a vivere nelle grotte durante la Glaciazione Würm (da 70.000 a 15.000 anni fa).

Dal 40.000 a.C. - Nel Paleolitico Superiore si diffonde in Europa l'odierno Homo sapiens, e l'Uomo di Combe-Capelle è la più antica varietà di Homo sapiens moderno in Europa. Secondo la tesi comunemente accettata, proveniva dall'Asia. I resti più antichi sono datati intorno al 40.000 a.C. in Francia, pertanto condivise per alcune migliaia di anni l'habitat con i Neanderthaliani. Il tipo di Combe-Capelle è rappresentato dallo scheletro trovato nel 1909 presso Monferrand (Perigord).
Ubicazione di Monferrand in Perigord.
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Viene a volte considerato come paleo-mediterraneo e a volte anche come paleo-australoide. Le caratteristiche essenziali sono:
Cranio di contorno pentagonoide-ellissoide, con fronte piuttosto sfuggente e volume di 1400 cc.;
- Arcate sopraciliari prominenti con orbite basse, ma meno che i Cromagnon;
- Volta abbastanza alta e rotondeggiante;
- Statura media o anche bassa;
- Faccia tendente alla leptoprosopia e quindi non larga come nei Cro-Magnon;
- Prognatismo totale e naso largo (camerrinia).
Al tipo di Combe-Capelle vengono attribuiti esemplari diversi, tra i quali si possono menzionare:
- due esemplari di Brünn (Brno) in Moravia (25.000 a.C.)
- due esemplari di Pavlov in Russia europea (25.000 a.C.)
- scheletro di un giovane delle Arene Candide in Liguria (18.000 a.C.)
- scheletro di un giovane nella Grotta Paglicci nel Gargano (18.000 a.C.); questi due ultimi però presentano anche alcune caratteristiche cromagnonoidi. Tutti gli esemplari sono accompagnati da cultura Gravettiana.
Negli ultimi anni si è rafforzata la teoria che vede neanderthal e sapiens (tra cui la popolazione Cro-Magnon) come due specie diverse evolutesi in modo quasi parallelo. L'uomo di Cro-Magnon, ovvero ascrivibile all'uomo moderno, sostituisce in Europa l'uomo di Neanderthal (che pare si estingua circa 28.000 anni fa) in un arco di tempo relativamente breve ma con una certa convivenza di alcune migliaia di anni, anche se non è ancora possibile stabilire che tipo di relazioni (collaborazione, indifferenza, guerra) si fossero stabilite tra i due gruppi umani.

Ricostruzione della Donna
Cro-Magnon con bambino.
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Dal 30.000 a.C. - Termina la lunga convivenza tra vari tipi di ominidi. Da questo momento in poi i paleoantropologi hanno rinvenuto solo reperti di Homo sapiens, unico discendente degli ominidi sopravvissuti. L'uomo di Cro-Magnon è una antica forma, ascrivibile a popolazioni umane moderne (Homo sapiens), largamente diffusa nel paleolitico superiore in Europa, Asia, Nordafrica, Nord America. È rappresentato da quattro scheletri provenienti dal riparo sottoroccia di Cro-Magnon, presso Les Eyzies-de-Tayac-Sireuil in Dordogna (in Francia) e da sette scheletri raccolti nelle Grotte dei Balzi Rossi (Liguria), definiti a suo tempo come cromagnonoidi. I resti più antichi, scoperti dal geologo francese Louis Lartet, sono datati intorno al 30.000 a.C., di poco posteriori all'Uomo di Combe-Capelle di cui a volte è considerato una variante. Antropologicamente si osserva una certa stabilità delle caratteristiche cromagnonoidi che sono essenzialmente di tipo europoide: 
Ricostruzione dell'Uomo
Cro-Magnon.
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- alta statura (media 1,80 m per gli uomini, con punte oltre 1,90 m) con gambe lunghe e braccia corte;
- faccia larga e bassa con cranio lungo dalla fronte all'occipite (dolicocefalia e cameprosopia), spesso denotata come disarmonica;
- orbite basse e rettangolari;
- naso prominente e spesso aquilino;
- grande capacità cranica (1.650 cm3).
È stato proposto che fosse essenzialmente Rh negativo (come i Baschi odierni), ma questa ipotesi non è provata. Dalle moderne indagini genetiche sembra potersi affermare che i cromagnonoidi entrarono in Europa dall'Asia centrale verso il 30.000 a.C., portando il particolare marcatore genetico M173, derivato da M45, che pare fosse diffuso in popolazioni asiatiche del paleolitico da cui sarebbero derivate anche alcune popolazioni siberiane e amerinde (marcatore M242 e discendenti). I Cro-Magnon avevano una dieta di carne, grano, carote, cipolle, rape ed altri alimenti; nel complesso, una dieta molto bilanciata. Tra gli artefatti Cro-Magnon giunti fino a noi vi sono capanne, pitture murali, incisioni; sembra inoltre che fossero in grado di intrecciare vesti. 
Le capanne erano costruite in roccia, argilla, ossa, rami e pelo di animali.
I Cro-Magnon utilizzavano manganese e ossido di ferro per le loro pitture rupestri, e potrebbero aver creato, circa 15.000 anni fa, il primo calendario. I Cro-Magnon devono essere entrati in contatto con gli uomini di Neanderthal e sono spesso indicati come la causa dell'estinzione di questi ultimi; in realtà, sembra che umani moderni dal punto di vista morfologico abbiano convissuto con i Neanderthal per circa 60.000 anni nel Levante, e per più di 10.000 anni in Francia.
Nella località di Oberkassel, presso Bonn in Germania, sono stati ritrovati nel 1914 due scheletri in un doppia sepoltura, datati al 10.000 a.C. - 15.000 a.C. e riferibili al Maddaleniano. Si tratta di uno scheletro maschile e di uno femminile assai diversi tra loro. Caratteristico appare specialmente il cranio maschile molto capace (1.600 cc) leggermente dolicocefalo, con faccia fortemente cameprosopa e orbite molto basse, in qualche modo accentuando la disarmonia di Cro-Magnon.
Il cranio della donna è più alto e più stretto e non è evidentemente cromagnonoide, ma ricorda invece il tipo di Brünn. La statura è di 166 cm nell'uomo e 147 cm nella donna. Fossili di uomini di Cro-Magnon sono stati ritrovati anche a Monaco, nel Bayern, in Germania.
L'Europa 20.000 anni fa, nella massima estensione
dei ghiacci, durante l'ultima glaciazione, di Würm.
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Il massimo della diffusione si ha intorno al 20.000 a.C.
Tra le varianti di Cro-Magnon si possono menzionare:
le popolazioni di Mechta-Afalou
(Berberi), in Nord-Africa
la popolazione maglemosiana
(proto-nordici della varietà dalo-falica) in Scandinavia,
le popolazioni neolitiche delle culture del Dneper-Donets e di Sredny-Stog
(forse i proto-Indoeuropei)
nella Russia meridionale,
i Guanci delle isole Canarie, ormai estinti, probabilmente discendenti dei Berberi,
i nativi americani Dakota in Nordamerica.
Poiché la depigmentazione compare (o compariva) con una certa frequenza in tutte le popolazioni menzionate eccetto, per quanto è noto, i Dakota, è stato anche suggerito che questa fosse una caratteristica piuttosto diffusa tra i Cro-Magnon.
Invece non è chiaro come i Cro-Magnon abbiano contribuito alla genetica delle popolazioni odierne in Asia, ma è stato rilevato che in Asia i portatori delle culture siberiane Afanasevo e Tagar erano essenzialmente cromagnonoidi.

I Balzi Rossi, con a destra la
grotta del Caviglione.
- Ai Balzi Rossi, solo l'uomo del Paleolitico Superiore (Homo Sapiens Sapiens) usò le grotte come sepolcri, lasciandovi le testimonianze più interessanti. Le Grotte dei Balzi Rossi sono situate in prossimità del confine Italo-Francese in Liguria, nel comune di Grimaldi, pochi chilometri da Ventimiglia, e si aprono ai piedi di una barriera rocciosa composta da calcare Jurassico-Dolomitico la cui altezza è di circa 100 metri. Il nome del luogo deriva dal colore delle rocce, che nel dialetto locale vengono indicate come "Baussi Russi" (Pietre Rosse). Il sito consiste di 7 grotte chiamate: Grotta del Costantini, Grotta dei Fanciulli, Grotta del Florestano, Grotta del Caviglione, Barma Grande (Barma vuol dire grotta), Barma du Bausu da Ture (che nel dialetto vuol dire Grotta della rocca della torre) e Grotta del Principe. Solo le grotte del Caviglione e Florestano possono essere visitate ma i due piccoli musei offrono ampie e dettagliate spiegazioni sul contenuto delle grotte e vi si trovano anche numerosi scheletri o calchi dei medesimi, foto e oggetti rinvenuti durante gli scavi archeologici.
Le grotte sono state frequentate dall'uomo dal Paleolitico Inferiore, tracce di queste antiche presenze sono molto limitate a causa delle frequenti variazioni del livello dei mari, verificatesi nel corso delle fluttuazioni climatiche del Pleistocene. Le ossa più antiche ritrovate appartenevano ad una femmina di Homo Erectus (età assoluta oltre i 230.000 anni) vissuta durante la Glaciazione Riss. Come le acque si ritirarono, 70.000 anni fa, all'inizio della glaciazione di Würm, l'uomo riprese a frequentare le caverne, lasciandovi tracce di focolari e iscrizioni rupestri.
Graffito di equide nella grotta
del Caviglione - Balzi Rossi
Nell'iscrizione rupestre qui a destra è ancora possibile scorgere il profilo di un cavallo. Solo l'uomo del Paleolitico Superiore (Homo Sapiens Sapiens) usò le grotte come sepolcri, lasciandovi le testimonianze più interessanti; durante gli scavi, gli archeologi scoprirono molte sepolture paleolitiche: sette scheletri ascrivibili alla forma Cro-Magnon fra cui il cosiddetto "Uomo di Mentone". Quella particolare sepoltura conteneva un singolo scheletro poggiato sul lato sinistro con le mani vicino al volto e le gambe leggermente piegate. Ossa e terreno attorno allo scheletro mostravano un intenso colore rosso, causato dalla polvere di ocra con cui la sepoltura venne cosparsa.
Ornamenti funebri
rinvenuti ai Balzi Rossi
Il teschio era adornato con conchiglie marine e canini di cervo forati, una volta fissati tra loro in una sorta di copricapo. Il radio scomposto, una frattura ridotta, mostra che l'uomo era riuscito a superare un trauma osseo. In ciascuna delle sepolture riportate alla luce c'erano solo scheletri di maschi la cui altezza era di circa 180 o 190 centimetri, i più alti nella popolazione paleolitica europea. I tratti distintivi  dell'Uomo di Cro-Magnon erano un viso corto con orbite rettangolari, la grande robustezza dello scheletro e l'alta statura. La qualità delle sepolture rinvenute sembrano mettere in luce l'importanza sociale dei quegli individui. Due scheletri di bambini la cui età si aggirava sui 2 e 3 anni, vennero scoperti dentro la Grotta dei Fanciulli. Furono deposti uno a fianco dell'altro; al livello dell'anca e del femore c'erano molte conchiglie marine forate (Nassa Neritea) che sembravano far parte di un ornamento funerario. La sepoltura più interessante è senz'altro la Tripla Sepoltura. I tre individui sono stati sepolti nella stessa buca, uno al fianco dell'altro, cosparsi di ocra rossa e accompagnati da un ricco addobbo funebre. Due di loro erano individui giovani mentre il terzo era molto più vecchio. Le stesse peculiarità anatomiche riscontrate sul lato destro dell'osso frontale dei teschi, suggeriscono una relazione genetica tra i tre individui. Il più vecchio era alto circa 190 centimetri e possedeva una struttura scheletrica di ragguardevole robustezza. Gli ornamenti funerari consistevano di grosse lame di pietra, collane, elementi decorativi composti da spine dorsali di pesci, denti canini di cervo, pendenti di avorio decorato con linee incavate e conchiglie forate (Nassa Neritea). Tra le varie scoperte, l'ultima, più eccitante, fu il ritrovamento dei cosiddetti Negroidi di Grimaldi. La tomba conteneva gli scheletri di un adolescente e di una donna adulta con tratti somatici differenti da quelli degli individui contenuti nelle altre sepolture. Il capo dell'adolescente era ornato da un copricapo fatto di conchiglie marine (Nassa Neritea), mentre la donna aveva le stesse conchiglie vicino al polso e gomito sinistro, forse usate come braccialetto. La sepoltura dei due individui avvenne sicuramente in momenti successivi e gli scarsi riguardi avuti nel seppellire la donna suggeriscono un modello funerario atto a dare importanza alla figura maschile, proprio come si è rinvenuto nelle altre sepolture scoperte nell'area dei Balzi Rossi. Tutte le sepolture possono essere datate al periodo chiamato Gravettiano o Epigravettiano, un intervallo temporale tra 29.000 e 19.000 anni fa.
Veneri dei Balzi Rossi, rappresentazioni
del culto della Dea Madre.
Venere dei Balzi Rossi,
rappresentazione del
culto della Dea Madre.
Le Veneri dei Balzi Rossi sono piccole statue femminili prodotte durante l'era del Paleolitico Superiore, distinguibili grazie ad una particolare industria litica Gravettiana (tra 29.000 e 21.000 anni fa). Sono statue di osso, pietra o avorio la cui altezza è circa di 10 centimetri. Profili e forma presentano un'esagerato volume dei seni, ventre e fianchi, mentre le altre parti del corpo e le gambe sono sottodimensionate. Queste statuette ci permettono di avanzare alcune ipotesi riguardo l'aspetto delle donne preistoriche: dovevano essere molto simili alle donne Ottentotte, con rilevanti riserve di adipe al livello dei glutei.

Carta dell'Europa nel paleolitico superiore (tra 29.000 e 21.000 anni fa),
con i siti di ritrovamento di Veneri, effigi della Dea Madre.
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Ricostruzione di banda di cacciatori-
raccoglitori paleolitici in Liguria,
nel Finalese. Clicca sull'immagine
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Dal 26.000 a.C. - Nella grotta delle Arene Candide si effettuano sepolture, e tale pratica si protrarrà fino al VII secolo. La Caverna delle Arene Candide è un importante sito archeologico in grotta situato nel comune di Finale Ligure in provincia di Savona. Le Arene Candide erano una duna di sabbia quarzosa, bianca (candida) che i venti dell'ultima glaciazione, che soffiavano con potenza doppia di quella attuale, avevano addossato al versante occidentale del promontorio della Caprazzoppa. Ritratta in alcune fotografie dei primi anni venti del Novecento, la duna è stata completamente rimossa dall'industria degli abrasivi. La cava di sabbia di quarzo ha successivamente lasciato il posto ad una grande cava di calcare che ha determinato l'attuale (degradata) situazione paesaggistica.
L'ampia caverna, localmente nota un tempo come "Armassa", (“Arma” in ligure antico, lo conferma la toponomastica locale, significa grotta, riparo) che si apriva presso uno dei vertici della duna, è entrata nella letteratura archeologica come Caverna delle Arene Candide dopo gli scavi che Arturo Issel, fondatore dell'Istituto di geologia dell'Università di Genova, vi condusse fra il 1864 e il 1876 per provvedere reperti al nascente Museo Nazionale Etnografico e Preistorico (ora Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini) di Roma - EUR.
La caverna è ora ubicata sul margine superiore del ciglio ovest della ex- cava Ghigliazza, circa 90 metri sul livello del mare, verso il quale presenta tre grandi aperture che la rendono, oggi come nel passato, relativamente illuminata ed asciutta. Attualmente si accede alla caverna dall'alto, con un percorso via Borgio che implica circa 30 minuti a piedi.
La celebrità internazionale deriva dai fortunatissimi scavi che Luigi Bernabò Brea (primo Soprintendente Archeologo della Liguria) e Luigi Cardini (membro dell'Istituto Italiano di Paleontologia Umana) condussero negli anni 1940-42 e 1948-50 nella porzione sud orientale della caverna. Come noto quegli scavi conseguirono quella che ancora oggi è la più articolata stratigrafia del bacino del Mediterraneo (dal Paleolitico superiore gravettiano fino all'epoca bizantina, dal 26.000 a.C. al VII secolo d.C), in un contesto ambientale di giacitura estremamente favorevole alla buona conservazione dei reperti, soprattutto delle ossa e del materiale combusto.
L'Europa 20.000 anni fa, nella massima estensione
dei ghiacci, durante l'ultima glaciazione, di Würm.
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I resti delle ben 19 sepolture paleolitiche rinvenutevi, oltre a costituire uno dei più consistenti complessi funerari paleolitici del mondo, sono senz'altro quelli di gran lunga meglio conservati, con tutte le implicazioni sulla qualità delle informazioni scientifiche che gli antropologi possono attingere.
Si segnala in particolare la ricchezza del corredo funebre di un adolescente che lo farà definire il giovane principe.
Si tratta di quindicenne rinvenuto su uno strato di ocra rossa a sette metri dalla superficie, rivolto a sud, con un copricapo di nasse dorate, monili di conchiglie, ossa, corna di cervo lavorate e una lunga selce in mano.
La ferita mortale al mento risultava ricomposta con ocra gialla prima della sepoltura.
Numerosi materiali ceramici, strumenti in pietra scheggiata, osso, conchiglia e altre materie prime impiegati dalle popolazioni del Paleolitico e del Neolitico che abitarono nella Caverna delle Arene Candide sono esposti presso il Museo Archeologico del Finale (Finale Ligure Borgo - SV).

Il Volto di Borzone,
nel territorio di Genova.
Sui monti dell’entroterra della Liguria orientale vi è la più grande scultura rupestre d’Europa, e probabilmente la più grande del mondo. Questa grande scultura è conosciuta come il “Volto megalitico di Borzone”, e raffigura appunto un volto umano, che misura circa 7 metri di altezza e 4 metri di larghezza, (le misure del Volto di Borzone, metri 7 x 4, si intendono per il solo volto, le altre parti che la incorniciano, “capelli e una sorta di copricapo”, aumentano la misurazione), e si trova a Borzonasca (Provincia di Genova, Italia), poco più in alto della Frazione Borzone, in un posto detto Rocche di Borzone, che è in cima ai monti.
Scoperto durante un sopralluogo del Comune per la costruzione della strada carrozzabile nel 1965, con i suoi 7 metri d'altezza è considerato la scultura rupestre più grande d'Italia e d'Europa. Il ritrovamento, ripreso e documentato da alcuni quotidiani locali, attirò subito l'attenzione degli archeologi. Taluni lo fanno risalire al Paleolitico superiore (da circa 20.000 a 12.000 anni fa) paragonandolo ai menhir antropomorfi di Carnac, ma studi effettuati poi hanno invece mostrato la chiara corrispondenza con le proporzioni e le caratteristiche del Volto dell'Uomo della Sindone di Torino. Infatti sovrapponendo i trasparenti fotografici dei due volti ridotti alla stessa scala appare evidente la coincidenza, in particolare, degli occhi e del naso; di più, come nel volto sindonico, anche il volto di Borzone presenta gonfio lo zigomo alla sinistra dell'osservatore e sulla fronte i segni della coronazione di spine. Gli autori sono da ricercarsi nei monaci Benedettini della vicina abbazia di Sant'Andrea di Borzone, importante e diretta emanazione dell'abbazia di San Colombano di Bobbio, luogo cruciale dell'alto medioevo italiano.
La penisola italiana nel 15.000 a.C.
I monaci potrebbero aver scolpito il volto a causa di un voto per la conversione al Cristianesimo degli abitanti della valle del Penna, in questo modo si spiegherebbe il fatto che il volto è rivolto verso quest'ultima mentre dà le spalle alla adiacente valle del torrente Borzone e quindi all'abbazia; una tradizione locale afferma, inoltre, che una volta all'anno i monaci si recassero davanti alla scultura per venerarla.
Per tutte queste ragioni, è lecito definire quest' opera come "Volto rupestre sindonico", o, come è stato proposto, "sindone di pietra" o ancora, se si considera autentica la Sindone, come "Volto rupestre di Gesù Cristo". Il termine "megalitico", con cui è conosciuto, pare pertanto corretto solo dal punto di vista etimologico e non storico; esso non è neppure coerente con l'ipotesi paleolitica, essendo il megalitismo un fenomeno tipico del neolitico.
In ogni caso, tale scultura non ha eguali al mondo, presentandosi come un vero e proprio "unicum". Nel maggio 2016 il pilota di droni genovese Ugo de Cresi, sfruttando la prospettiva aerea, scopre un volto speculare all'originale affiancato alla sua sinistra, dall'aspetto greve e corrucciato.

Nel 15.000 a.C. - Avviene la seconda colonizzazione dell'Europa, (la prima colonizzazione degli uomini moderni, gruppi di Homo Sapiens, risale a 45.000 anni fa) concomitante al ritiro dei ghiacci con la fine della glaciazione di Würm, risalirebbe a circa 17.000 anni fa a partire da popolazioni di ritorno dalle zone di rifugio a sud.

A questa data risalgono i più antichi graffiti nelle Grotte di Lascaux.
"Cavallo Cinese": Grotte di Lascaux.
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Le Grotte di Lascaux sono un complesso di caverne che si trova nella Francia sud-occidentale. Le grotte si trovano vicino al villaggio di Montignac, nel dipartimento della Dordogna.
Nelle grotte si trovano esempi di opere di arte parietale risalenti al Paleolitico superiore: molte di queste opere vengono fatte risalire ad una data compresa fra il 13.000 ed il 15.000 a.C.
Ubicazione di Lascaux, in Francia
meridionale
Il tema più comunemente rappresentato è quello di grandi animali dell'epoca (fra i quali l'uro, oggi estinto), resi con grande ricchezza di particolari.
Il complesso di caverne venne scoperto il 12 settembre 1940 da quattro ragazzi francesi: Marcel Ravidat, Jacques Marsal, Georges Agnel e Simon Coencas.
Insieme di pitture rupestri nelle Grotte di Lascaux.
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Dopo la fine della seconda guerra mondiale le caverne vennero aperte al turismo di massa, ma nel 1955 l'anidride carbonica prodotta da 1.200 visitatori al giorno aveva visibilmente danneggiato le pitture.
Nel 1963 le caverne vennero chiuse al pubblico e i dipinti vennero restaurati al loro stato originale.
Grotta Ruffignac: pitture rupestri di animali fra cui i mammuth.
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Dal 1998, infestazioni fungine hanno invaso ampie parti del complesso e richiesto interventi straordinari di manutenzione; dal 2008, a seguito del peggioramento della situazione (con una nuova infestazione avviatasi nel 2007) e delle difficoltà per rimuoverne le tracce, le grotte sono state completamente chiuse al pubblico.
È stato attivato un comitato scientifico internazionale, finalizzato a studiare le migliori modalità di tutela e ripristino ambientale del complesso.
Oggi i dipinti sono monitorati regolarmente, per cercare di evitare il loro ulteriore deterioramento.
Le sale più famose che compongono il complesso di grotte di Lascaux sono:
- la grande sala dei tori,
- il passaggio laterale,
- la lancia dell'uomo morto,
- la galleria dipinta,
- il diverticolo dei felini.
Pianta delle grotte di Lascaux.
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Nel 1983 è stata aperta Lascaux II, una replica della grande sala dei tori e della galleria dipinta, situata a circa 200 metri dalle grotte originali.
Ad alcuni chilometri da Montignac, nel parco di Le Thot, sono esposte altre riproduzioni dei dipinti delle grotte di Lascaux.
La grotta di Lascaux viene anche chiamata la "Cappella Sistina del Paleolitico".
Di un interesse particolare è la cosiddetta "scena del pozzo" di Lascaux, la più antica rappresentazione della danza e del ballo in
Scena del pozzo - Grotte di Lascaux
un graffito, che rappresenta uno stregone nell'atto di svolgere una danza rituale.
Qui, secondo Michael Rappenglück, della Facoltà di Matematica e di Scienze Informatiche dell'Università "Ludwig-Maximilians", a Monaco di Baviera, l'immagine dello sciamano che affronta lo spirito del bisonte è da porre in relazione ad alcune costellazioni che passavano in meridiano alla mezzanotte del solstizio d'estate del 16.500 a.C.

Grotte di Borgio Verezzi, non molto
distanti dalle grotte di Toirano
- Nelle grotte di Toirano, in Liguria, sono visibili segni di frequentazioni riconducibili a questo periodo. Le grotte di Toirano, in provincia di Savona, sono un complesso di cavità carsiche di rilevanza turistica, particolarmente note per la varietà di forme di stalattiti e stalagmiti, per la loro estensione, per la perizia con cui le guide illustrano il percorso turistico lungo oltre un chilometro, per il ritrovamento di tracce dell'Homo Sapiens di oltre 12.000 anni fa e resti di ursus spelaeus di circa 25.000 anni di età.
Reperto di Orso delle caverne alle
grotte di Toirano
L’orso delle caverne che viveva in Liguria durante il grande freddo dell’ultima glaciazione, era più grande dell’orso bruno attuale e trascorreva nelle grotte il letargo invernale; si è estinto 10.000 anni fa per motivi ancora poco chiari. 
Ricostruzione dell'Orso delle caverne.
È stato ritrovato nelle grotte di Toirano, che sono uno dei più importanti complessi di cavità naturali in Italia, con oltre 50 caverne naturali attrezzate.
Queste straordinarie grotte di Toirano sono di origine calcaree e si sono create da fiumi sotterranei ritiratisi nel corso degli anni, formando eccezionali effetti 
Impronte umane fossili
alle grotte di Toirano
scenici: ampi saloni con stalattiti e stalagmiti di ogni dimensione e fiori di cristallo rarissimi.
La Grotta del Colombo e la Grotta di S. Lucia, sono le cavità più note, con mille stalattiti affusolate. 
Nella Grotta della Strega si susseguono incontri affascinanti, dal "cimitero degli orsi", dove si sono sovrapposte nel tempo ossa d'orsi delle caverne, al "corridoio delle impronte", caratterizzato dai calchi umani di mani annerite dall'uso di torce nelle pareti, graffi, unghiate e impronte d`orso e impronte di piedi umani a terra, alla "sala dei misteri", luogo probabilmente ad uso rituale.

Nel 10.000 a.C. - Termine ultimo in cui è finita la glaciazione di Würm, durata ufficialmente da 70.000 a 15.000 anni fa. Inizia la terza colonizzazione dell'Europa.
Possiamo quindi dedurre che fu da questa data, la fine della glaciazione di Würm, che affluirono a più riprese in Europa orientale, dall'unico passaggio continentale ormai a clima temperato, e quindi adatto alla vita di gruppi di cacciatori-raccoglitori, popolazioni che abbiamo poi definito di provenienza indoeuropea.

- Secondo De Jubainville gli indoeuropei da cui derivarono i proto-Celti, che chiamavano se stessi 
Ariani (dalla parola sanscrita Arya, i «fedeli», i «devoti»), si divisero in due gruppi che iniziarono a spostarsi:
               - il primo verso Ovest per giungere e stabilirsi in Europa nei secoli successivi, mentre
               - il secondo verso Sud, per penetrare nel bacino del Gange e stanziarsi in India.
Il primo gruppo, suddiviso in numerose tribù, marciò verso l'Iran, per giungere poi in Anatolia, nella penisola balcanica e infine in Europa centrale, dove sviluppò una civiltà fiorente unendosi alle genti neolitiche.

Carta delle vie di espansione
della cultura dei Megaliti.
Fonte: dtv-Atlas of World History,
Atlante storico di Hermann Kinder
e Werner Hilgemann del 1964 
- Intanto l'Europa occidentale è abitata da una civiltà proto-Ligure che parlava una lingua di cui il basco è una reliquia. Questa civiltà, autoctona e non indoeuropea, che si rivelerà poi a vocazione megalitica, potrebbe essere derivata dai gruppi del genere Cro-Magnon, stanziati nell'Europa occidentale già durante la glaciazione di Würm.  Secondo un rilevamento dell'eridità genetica degli Europei l'aplogruppo R1b è prevalente nell'Europa atlantica, dove rappresenta l'aplogruppo più diffuso e nel Camerun settentrionale.
La linea R1b è la più comune nelle popolazioni europee.
Diffusione dell'aplogruppo R1b in Europa.
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Nell'Irlanda occidentale raggiunge una frequenza prossima al 100%. Si è originata prima della fine dell'ultima glaciazione e si è concentrata nei rifugi del sud-Europa per poi riespandersi verso nord con il progressivo mitigarsi del clima a partire da 14.000 anni fa.
E' presente anche nel Vicino Oriente, Caucaso e Asia Centrale. L'Aplogruppo R1b (Y-DNA), viene ritenuto essere la più antica linea genetica europea, associata ad un effetto del fondatore verificatosi nell'Europa centro occidentale. Le popolazioni stanziatesi in Italia dal Mesolitico sono caratterizzate da alte frequenze di R1 (xR1a1), condizione che si ritrova ad oggi nelle popolazioni basche, ritenute le più somiglianti geneticamente ai primi europei. Durante il Neolitico i migranti introducono le varianti E3B1 e J2, il 27% delle variazioni genetiche totali, basate sull'analisi dei polimorfismi indicano un chiaro gradiente di distribuzione della  popolazione italiana sull'asse nord-sud della penisola.
Le variazioni introdotte nel Neolitico non sembrano essere dovute a flussi migratori provenienti dalla Spagna, ma si configurano come migrazioni provenienti dall'Asia o dall'Anatolia attraverso l'attuale area Balcanica: le migrazioni degli indoeuropei.

Incisioni rupestri fra le migliaia della Valle delle Meraviglie,
 parco del Mercantour del monte Bego, ora Francia.
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Nel 6.000 a.C. - E' in corso la migrazione degli Indoeuropei  verso l'Europa, verso Iran e Afganistan e verso i fiumi Indo e Gange, in India.

- Nell'Italia Centrale e del Nord, in Bretagna, lungo le coste dell'Irlanda e della Cornovaglia, nell'Europa Centrale, nella Francia Meridionale, lungo le coste della penisola Iberica, sia mediterranee che atlantiche, dal 6.000 a.C. circa, apparvero i caratteri di un nuovo popolo: gli antichi Liguri, mentre nella penisola iberica, affluisce la stirpe camita-berbera dall'Africa.

- Da http://ilfinalese.blogspot.it/2013/05/il-finalese-liguria-occidentale-cultura.html : Con il Neolitico (che, in Liguria si sviluppò dal 5.800 al 3.600 a.C.) le bande e tribù di nomadi cacciatori-raccoglitori, divennero
allevatori ed agricoltori. Il maggiore controllo delle risorse naturali, rese alcuni gruppi stanziali, e ciò comportò un aumento della popolazione con il contemporaneo modificarsi dell'organizzazione sociale e l'introduzione del concetto di “proprietà”.
In meno di 2.000 anni, la vita dell'uomo si modificò più significativamente che durante i 2 milioni di anni precedenti: un cambiamento radicale conosciuto come “Rivoluzione Neolitica”, anche se il processo di Neolitizzazione fu piuttosto graduale e differenziato per le diverse culture ed aree geografiche.
Nel Ponente Ligure, tali trasformazioni si avviarono, secondo recenti osservazioni, a causa della probabile migrazione di nuove popolazioni dall'Italia Centro-Meridionale.
I reperti archeologici ritrovati alle Arene Candide, all'Arma della Pollera e, del tutto recentemente al Riparo di Pian del Ciliegio (Altopiano delle Manie) risalgono, per lo più, al periodo della “Cultura della Ceramica Impressa” (Neolitico Antico: dal 5.800 al 5.000 a.C.) e della “Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata” (Neolitico Medio: dal 5.000 al 4.200 a.C.).
Sono legati a culti e riti sviluppatisi nell'area Mediterranea, relativi alla riproduzione ed alla crescita vegetale ed animale. Il ritrovamento di statuine di fattezze femminili sembrerebbe, infatti, legato a propiziare la fertilità del terreno e delle greggi.
Le datazioni radiocarboniche, eseguite a Pian del Ciliegio, per i livelli della “Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata”, risalgono al V millennio a.C. (tra il 4.700 ed il 4.300 circa). Indagini archeometriche, condotte con microscopia ottica e XRPD (X-Ray Powder Diffraction) su campioni appartenenti alle culture dei Vasi a Bocca Quadrata e della Ceramica Impressa, suggeriscono differenti fonti di materie prime e di tecniche di produzione. La natura delle inclusioni minerali indica, in tutti i casi, una produzione locale o con distanza massima di circa 10 Km. Al contrario, la “ceramica impressa”, anche se è stata ritrovata in quantità più limitata, mostra una grande variabilità per quanto concerne la sua composizione e la zona di provenienza. Accanto, infatti, a diversi impasti locali (con inclusioni di rocce metamorfiche e la presenza di una quantità variabile di calcite), sono state reperite anche miscele con inclusioni ofiolitiche (provenienti, probabilmente, dalla Toscana) o vulcaniche (originarie, con ogni probabilità, dall’Italia Centro - Meridionale ed Insulare).

- La cultura della ceramica impressa si diffuse in Europa nella prima metà del VI millennio a.C., e una variante è la ceramica impressa detta "ligure", diffusa nell'Italia nord-occidentale e sulle coste francesi, con occupazione di aree differenti da quelle con tracce di frequentazione mesolitica.
Nella seconda metà del VI millennio a.C., all'incirca a partire dal 5400 a.C., si diffuse sulle coste mediterranee della penisola iberica e fino all'odierno Portogallo, la cultura della ceramica impressa cardiale, nella quale la decorazione a impressione era ottenuta mediante l'impressione del margine della conchiglia di Cardium. In generale rimasero numerosi gli insediamenti in grotta e le testimonianze di uno stile di vita forse seminomade, che induce ad ipotizzare una diffusione attraverso piccole comunità neolitiche di agricoltori provenienti dal mare che andarono ad occupare le aree lasciate libere dalle comunità mesolitiche locali di cacciatori e raccoglitori, le quali vennero progressivamente, ma lentamente assimilate.
La conchiglia Cardium
Dalle coste si ebbe inoltre una lenta penetrazione verso l'interno (valle del Rodano, valle dell'Ebro). In Liguria la Ceramica Impressa Ligure è stata ritrovata quasi esclusivamente in depositi in grotta che presentano frequentazioni dell'Epigravettiano ma non del Mesolitico. Alcuni autori (P. Biagi - R. Nisbet, Popolazione e territorio in Liguria tra il XII e il IV millennio b.c., in AA.VV., Scritti in ricordo di Graziella Massari Gaballo e di Umberto Tocchetti Pollini, Milano 1986, pp. 19-27) sostengono un'origine autonoma di tale cultura a seguito di una crisi economica e tecnologica di gruppi mesolitici. La Ceramica Impressa ligure è stata individuata in numerose grotte e in siti transappenninici all'aperto e posti nei pressi dei corsi d'acqua. Lo scavo nella grotta delle Arene Candide ha permesso di raccogliere una ricca documentazione.
Orcio in Ceramica Impressa cardiale
rinvenuta a Valencia, Spagna.
Sono attestati dei collegamenti ad ampio raggio fra questa facies e altri ambienti culturali, in particolare padani, dalla circolazione di pietre verdi e giadeiti liguri per la realizzazione di manufatti levigati.
La ceramica si distingue in due classi: una d'impasto grossolano di colore grigio o rossiccio decorata ad impressioni e cordoni ed un'altra con impasto depurato e con superfici ben levigate.
Le forme tipiche della prima classe sono le tazze semisferiche e semiovoidali, ciotole a calotta, ollette globulari ad apertura ristretta, vasi a fiasco, orci ovoidali o troncoconici e vasetti con prese a linguetta forata e cordoni orizzontali.
La decorazione impressa è eseguita con unghiate, con punzoni di vario tipo o con la conchiglia del Cardium (da cui ceramica cardiale). 
La fascia al di sopra delle prese può essere decorata con motivi angolari o a denti di lupo, mentre nella zona ventrale sono presenti fasce orizzontali interrotte da fasci verticali in corrispondenza delle anse.
Le forme tipiche della seconda classe sono vasi a fiasco, tazze, bicchieri e piccoli vasetti.
Diffuse sono le accette e le asce in pietra verde levigata. Tra gli oggetti di ornamento prevalgono le conchiglie forate; sono presenti anche metacarpali di lepre forati ad un'estremità e un canino di cervo.
Dallo studio dei resti faunistici si deduce che in associazione agli animali selvatici (cervo, capriolo, orso) erano presenti, anche se in misura minore, gli animali domestici (ovicaprini, suini, bovini). Nell'economia infatti giocava ancora un ruolo importante la caccia, la pesca (attestata da vertebre, mandibole di pesce e due ami) e la raccolta dei molluschi (Trochus, Patella).
Nello strato IIb della grotta della Pollera la ceramica recuperata è decorata quasi esclusivamente con una tecnica a graffito molto accurata, con incrostazioni di pasta gialla e rossa. I motivi decorativi sono costituiti da denti di lupo, triangoli e bande campiti prevalentemente a graticcio. Lo stile, denominato "stile della Pollera" è documentato anche nello strato 13 delle Arene Candide in cui sono presenti anche fasci di linee spezzate a zig-zag e il motivo a "bandierine". Tale orizzonte, in base alle datazioni radiocarboniche, si può datare alla seconda metà del V millennio a.C. Le datazioni radiocarboniche più antiche che provengono dalle Arene Candide e dalla Pollera si inquadrano tra la fine del VI e la prima metà del V millennio a.C.

- Questi dati confermano ed integrano quelli dei vicini siti archeologici della Grotta delle Arene Candide e della Pollera: durante il Neolitico Antico c’era, presumibilmente, una circolazione via mare, a lunga distanza, di persone e merci (incluse le ceramiche). Il reperimento di un cilindro di terracotta,  con una serie (5×12) di incisioni lineari, sulla sua superficie, ortogonali fra loro, formanti 60 caselle quadrate, rappresenta un oggetto unico nel panorama del neolitico italico. Si tratta, probabilmente, di un “Token”: termine inglese che si può tradurre come “segno stampato”, “contrassegno stampato”, ma che in termini archeologici indica un sistema di registrazione numerica. Il manufatto presenta, in 8 delle 60 caselle, un punto, impresso prima della cottura e, verosimilmente, sarebbe un antichissimo sistema di numerazione. Reperti simili si trovano in aree archeologiche, di epoche contemporanee al sito in esame, situate, soprattutto, in Medio Oriente: l’oggetto sarebbe unico fra i reperti del Neolitico italiano e potrebbe dimostrare la vastità delle influenze culturali e commerciali con popoli ed aree distanti del Mediterraneo Orientale, a loro volta legate a popolazioni più lontane di quanto fino ad ora considerato.
Da studi recenti, basati sulla osservazione delle correnti marine del Tirreno Centro-Settentrionale, inoltre, si potrebbero tracciare rotte che, in senso antiorario, dalle coste della Campania, del Lazio e della Toscana meridionale, si dirigono verso nord–ovest toccando la Toscana centrale, la Corsica, la Liguria orientale e centrale, fino a raggiungere il Finalese, l’Albenganese e le coste Provenzali. I recenti dati su Pian del Ciliegio e sull'Arma di Nasino (sita nell'entroterra di Albenga, a 20 km dalla costa ed a circa 30 Km, in linea d'aria, dal Finalese), hanno quindi consentito di estendere, sia verso sud, sia verso ovest, rispetto al Finalese, l’itinerario già ipotizzato sulla base dei risultati emersi da precedenti studi sulle Arene Candide. Inoltre, attraverso la navigazione si creavano legami sociali e culturali tra le popolazioni del Neolitico mediterraneo. La ceramica ed anche i beni deperibili contenuti nel vasellame in terracotta potrebbero, dunque, essere annoverati tra gli oggetti che erano veicolati via mare già dall’inizio del VII millennio a.C. In questo periodo si sono ulteriormente sviluppati i commerci via terra. Attraverso i valichi dell'entroterra Finalese, conosciuti anche ai nostri giorni con gli attuali toponimi di Colle del Melogno, Madonna della Neve (o Giogo di Rialto), Colla di San Giacomo (collegata alla Colla di Magnone, che la metteva in comunicazione con la Val Ponci), dalle valli finalesi, uomini e merci potevano raggiungere la Val Bormida e, da qui, la Valle del Po.

- Dalla fine del quinto millennio, alla fine del terzo millennio a.C. (periodo che comprende il Neolitico e l'Età del Bronzo), si manifestò una civiltà legata al culto della pietra.
Altare sopra Arma Strapatente,
 nel Finalese, in provincia di Savona.
Vennero erette costruzioni megalitiche come Menhir semplici ed allineati, Dolmen, Cromlech (recinti megalitici), spesso vicine a rocce incise, considerati contemporanee ai megaliti limitrofi.
Il significato di tale prossimità potrebbe essere spiegato come un segno della presenza del “sacro”.
Stele antropomorfa
Ligure ritrovata
 in Germania (Baviera)
Le raffigurazioni di “oranti” avvalorerebbero, inoltre, questa ipotesi. Coppelle e canalette potrebbero, invece, essere state utilizzate come contenitori e collettori di liquidi (organici e/o meteorici) a scopi rituali .
I “cruciformi” incisi su queste pietre sarebbero, invece segni di Cristianizzazione e, quindi, potrebbero essere considerati di epoca meno remota. Ciò indicherebbe una frequentazione di questi siti in periodo romano, medievale e, forse anche più recente, con finalità anche differenti da quelle originali (caccia, allevamento di animali).
Menhir a Bric di Pianarella
 (nel Finalese, provincia di Savona)
Con l'Età del Ferro (che in Liguria si sviluppò fra il 900 ed il 180 a.C.) fecero la loro comparsa le statue-stele (o stele antropomorfe): pietre fitte con incisioni, tipiche di Luni e della Lunigiana. Attualmente, l'unico esempio di tale manufatto ritrovato nel Finalese è rappresentato dalla rudimentale stele antropomorfa di Pila delle Penne. Nella zona di Finale Ligure sono presenti strutture orientate astronomicamente: “Osservatorio” di Bric Pianarella (con annessa “casella”), Menhir e Dolmen di Verezzi, Dolmen di Monticello, Rocce Altare e Tavole in Pietra di Finale presenti sui maggiori rilievi della zona (Altari di Monte Cucco, di Bric Pianarella, della Rocca degli Uccelli, del Bric del Frate, dell'Arma Strapatente, del Bric di Sant'Antonino).
Dolmen dei tre pè di Castellermo
 (a nord di Albenga)
Tutte queste strutture megalitiche, come precedentemente riportato, sono in stretta vicinanza con rocce incise ampiamente conosciute  come il Ciappu de Cunche (o Ciappo delle Conche: il termine "ciappo", nel Finalese, indica una lastra di pietra), il Ciappu de Cunchette (Ciappo dei Ceci), il Ciappu du Sà (Ciappo del Sale), il Ciappo Pianarella, il Ciappo della Valle dei Frassini (per citare solo quelli più noti) con presenza di incisioni di oranti, croci, coppelle e canalette.
La datazione dei reperti descritti costituisce un problema di difficile soluzione, in quanto i petroglifi si trovano in un luogo “aperto”, facilmente modificabile da fattori meteorici ed umani.
La presenza di altre strutture simili in area Europea è, comunque, ben conosciuta.
Ricordiamo, infatti, quanto riportato in numerosi studi che fanno riferimento al santuario di Panoias, (Portogallo settentrionale). Qui, accanto ad una grande roccia con vasche, canali e coppelle, scalini scavati nella roccia, vi è la seguente iscrizione latina risalente al III sec. d.C.:
Dolmen di Monticello (nel comune di Finale Ligure,
 provincia di  Savona)
"HUIUS HOSTIAE QUAE CADUNT HIC IMM(ol)ANTUR EXTRA INTRA QUADRATA CONTRA CREMANTUR - SAN(gu)IS LAC(i)CULIS (iuxta) SUPERFU(ndi)TUR"
(traducibile con: “Qui sono consacrate agli dei le vittime che vi vengono abbattute: le loro interiora vengono bruciate nelle vasche quadrate e il loro sangue si diffonde nelle piccole vasche circostanti”).
I grandi affioramenti rocciosi, con caratteristiche simili a quelle descritte per il santuario di Panoias, presenti nel Finalese, potrebbero, almeno per un certo periodo, avere avuto una funzione analoga.
Dolmen di Roccavignale (in provincia di Savona)
Il fatto, inoltre, che le “pietre-altare” siano costruite su luoghi elevati indica, probabilmente, la volontà di scegliere un sito appropriato dal quale si potesse avere una sorta di controllo visivo del territorio sottostante, in rapporto anche alla sacralità delle postazioni di altura e delle cime montane, tipica delle popolazioni celto-liguri.
Dolmen e Menhir non sono, quindi, estranei all'area culturale del Finalese e subalpina come si pensava fino a poche decine di anni addietro. Si riteneva, infatti, che la cultura megalitica si fosse arrestata nella regione transalpina, senza  oltrepassare le Alpi. 
Dolmen di San Giovanni, presso Massafra
 (in provincia di Taranto)
Unica eccezione era l'area pugliese, i cui dolmen, pietre-fitte e specchie erano però attribuiti all'influsso di popolazioni provenienti dalla penisola balcanica, attraverso l'Adriatico, in quanto, nel restante bacino del Mediterraneo, il megalitismo è ben rappresentato. Il lavoro di Puglisi "La Civiltà Appenninica. Origine delle comunità pastorali in Italia " alla fine degli anni '50 del secolo scorso e la scoperta, negli anni '60, della necropoli megalitica di Saint Martin de Corléan, ad Aosta, dimostrarono l'infondatezza di questa tesi.
Del tutto recentemente sono stati descritti reperti di possibile interesse megalitico anche in Val Ceresio, come menhir, dolmen, strade megalitiche, incisioni rupestri.
La zona interessata dalle ricerche è poco conosciuta dal punto di vista archeologico, pur facendo parte dell'area golasecchiana. 
Con le dovute cautele, la datazione di tali reperti può essere fatta risalire al Neolitico ed all'Età del Bronzo, ad opera di popoli pre e/o protoceltici.
Recenti studi, basati sulle nuove metodiche di ICP/OES o AAS (acronimi per Induced Coupled Plasma/Optical Emission Spectroscopy o Atomic Absorption Spectroscopy) hanno dimostrato che la metallurgia era ampiamente conosciuta, nell'area oggetto del presente studio, già nella Media Età del Bronzo (1.600 - 1.350 a.C.) e che l'attività estrattiva era praticata anche in località minerarie della Valle stessa.
La Val Ceresio sarebbe stata, quindi, fin dall'Età del Bronzo, parte di vie di scambio dei metalli fra il Mediterraneo, la Val Padana e l'Europa Transalpina.

- La cultura megalitica è penetrata, dunque, anche in Italia nord-occidentale, presumibilmente attraverso i passi alpini del Gran San Bernardo, del Sempione, del San Gottardo e del San Bernardino, verso la Valle del Po. Da qui e dalla Provenza, anche via mare, in Liguria dove, nella seconda metà degli anni '80 del secolo scorso, sono stati identificati a Nord di Sanremo (nella provincia di Imperia) due tumuli sepolcrali circolari. Uno di questi, studiato con metodi stratigrafici dalla locale sezione dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri, ha potuto essere attribuito alla fase finale dell'Età del Bronzo. [Alessi C. (2009) Sanremo (IM). Siti Archeologici a Monte Bignone. Archeomedia - Rivista di Archeologia On-line (settembre 2009)].
Menhir nei pressi di Carmo dei Brocchi
(in provincia di Imperia)
Percorrendo, per circa 15 Km, la strada provinciale che da Molini di Triora (provincia di Imperia) conduce a Rezzo, si raggiunge Passo Teglia (1.387 m. s.l.m). Dalla sommità del valico si prende il sentiero che conduce, percorrendo trasversalmente la faggeta del Bosco di Rezzo, al Passo della Mezzaluna. Fra Passo Teglia ed il Passo della Mezzaluna , lungo la "Via Marenca" (o Marenga, del mare) di origine e frequentazione millenaria, troviamo il "Sotto" di San Lorenzo. Qui possiamo ammirare un masso altare, probabilmente utilizzato per sacrifici animali, con una coppella e relativo canaletto di scolo. Il masso è situato ai margini di una depressione del terreno (ora una dolina, probabilmente sede di un laghetto), nel punto illuminato per ultimo dal sole prima del tramonto. Nei pressi un antico insediamento pastorale sottoroccia, ricavato in uno sfasciume di massi adattati a ripari. Nel punto più alto della valletta (Passo delle Porte, nei pressi della cima di Carmo dei Brocchi), dal quale è possibile vedere il mare, una pietra conficcata nel terreno, contrassegna un luogo di raduno di particolare significato. Il menhir è alto circa due metri, largo 60 cm e spesso 10, e si presenta oggi inclinato su un fianco. Anche se non è possibile attribuirgli un'età, si tratta evidentemente di una testimonianza del mondo pastorale, che rispecchia quindi schemi di vita e di pensiero protrattisi immutati nei secoli. E' curiosa l'analogia (luna e stelle) dei nomi delle località: Mezzaluna e San Lorenzo, la cui notte (10 agosto) è la notte delle stelle cadenti.  
Il Dolmen di Verezzi, in provincia di Savona
Anche altri manufatti presenti in Liguria, come il Menhir ed il Dolmen di Verezzi, fino ad allora attribuiti, pur con riserve, alla civiltà contadina recente, hanno assunto un significato diverso e la scarsità di reperti megalitici in Italia, differentemente dalle regioni transalpine (specie nord-occidentali ed insulari), potrebbe spiegarsi con il maggiore avvicendamento di civiltà nel corso del tempo, fatto che avrebbe trasformato radicalmente l'aspetto del territorio, comportando la perdita di molti di questi artefatti.
La presenza di Megaliti, può essere dunque considerata come un marcatore dei legami esistenti, già dal Neolitico, fra Mediterraneo, Italia Nord Occidentale ed Europa Transalpina.
In questa prospettiva, la Liguria, grazie alle peculiarità geologiche, paleontologiche e paletnologiche descritte, può rappresentare un crocevia per tali scambi commerciali e culturali, già ampiamente documentati per le successive epoche preistoriche e protostoriche.
La diffusione delle Culture della Ceramica Impressa e dei Vasi a Bocca Quadrata nell'Italia Settentrionale e nella restante Europa continentale, dimostra attivi scambi commerciali e culturali con il Nord, il ritrovamento del “Token” di Pian del Ciliegio, prova rapporti culturali e commerciali, fin dal Neolitico Antico, con regioni Mediorientali, quali la Fenicia e la Mesopotamia.

- La Valle delle Meraviglie (in francese Vallée des Merveilles) fa parte del massiccio del Mercantour; vi sono state scoperte più di 35.000 incisioni rupestri preistoriche, tra le quali numerose figure di armi (pugnali e alabarde) risalenti soprattutto all'età del Rame (III millennio a.C.) e in misura minore all'antica età del Bronzo (2.200-1.800 a.C.). Sono presenti anche figure più antiche, in particolare reticolati e composizioni topografiche (nell'area di Fontanalba), databili al Neolitico (V e IV millennio a.C.).
La Valle delle Meraviglie si trova nel comune di Tenda. 
Mappa del parco del Mercantour, con la Valle delle
Meraviglie. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Fino al 1861 faceva parte della Contea di Nizza sabauda, poi dal 1861 al 1947 ha fatto parte dell'Italia ed era compresa nella provincia di Cuneo, col Trattato di Parigi del 1947 passò alla Francia.
A partire dal 1967 è stata avviata un'indagine sistematica della zona da parte di un gruppo di universitari, museisti e scienziati finanziato dal Ministero della Cultura francese e dal Consiglio Regionale delle Alpi Marittime. Ad oggi sono state registrate oltre 35mila incisioni preistoriche (50mila comprendendo quelle storiche), la maggior parte delle quali si trova intorno al Monte Bego, da molti considerata una montagna sacra per gli antichi Liguri al pari del Monte Beigua, fra le province di Savona e Genova (non a caso altra zona ricca di incisioni rupestri). La ripartizione dei graffiti è di circa metà nella Valle delle Meraviglie, situata a ovest del Bego e metà a nord, nella Valle di Fontanalba. Vi sono anche altre zone più a nord con presenza di incisioni, ma di minore importanza. Si possono quindi identificare i seguenti settori in ordine decrescente di importanza:
Alcuni petroglifi della Valle delle Meraviglie.
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- Valle delle Meraviglie
- Valle di Fontanalba (in francese
   Fontanalbe)
- settore di Valauretta (in francese
  Vallaurette)
- settore del Colle del Sabbione (in
   francese Col du Sabion) (tra
   Francia e Italia)
- settore del Lago di Santa Maria
- settore di Valmasca (Valmasque)
- settore del Lago Vej del Bouc
   (Italia)
Il tutto è compreso in un'area di 40 km².

A partire dal IV millennio a. C. si accrebbero le conoscenze riguardanti il trattamento dei minerali metalliferi. In seguito allo sviluppo della metallurgia, le società si organizzarono in assetti sempre più complessi, con vere e proprie strutture gerarchiche. Furono costruite fortificazioni di altura, note con il nome di Castellieri o Castellari.

Resti di fortificazione sul Monte Vallasa (AL)
 Resti di castelliere a Bric Camulà
(Arenzano)










Resti di castelliere sul Monte Bignone (Sanremo)


Muro di cinta di castelliere a Verezzi (SV)










Valle Lagorara
(Maissana-SP)
Il fronte di estrazione;
le caratteristiche fratture
concoidi prodotte dai colpi
inferti con percussioni
come in primo piano.
Valle Lagorara
(Maissana-SP)
L'affioramento
di diaspro.
- Nel territorio dell'odierna Liguria, il nuovo uso delle risorse porta ad un miglioramento delle condizioni di vita, ad un aumento della popolazione e ad una società più complessa, in cui prendono a manifestarsi delle specializzazioni nei vari settori produttivi, che consentono attività quali il riconoscimento e lo sfruttamento dei giacimenti di minerali.
Nella Liguria orientale (a Monte Loreto, nell’entroterra di Sestri Levante) sono state ritrovate le tracce delle più antiche miniere di rame finora note in Europa occidentale (3.600 - 2.400 a.C.).
Tipici terrazzamenti liguri.
Sempre all’età del Rame (2.600 - 2.300 a.C.) appartengono le cave di  diaspro rosso di valle Lagorara, presso Maissana, dalle quali si ottenevano schegge che, opportunamente lavorate, diventavano taglienti punte di freccia.
Con l’età del Bronzo (2.300 - 1.000 a.C.) cominciano ad essere costruiti i terrazzamenti, che  diventeranno il segno distintivo del paesaggio ligure.

- Fra il 1.550 ed il 1.450 a.C., durante l'Età del Bronzo Medio, fiorì nel Piemonte settentrionale, tra Ivrea e Biella, la cosiddetta Cultura di Viverone.

- Nel territorio compreso fra  lo spartiacque alpino a nord, il Po a sud, il Serio ad est e il Sesia ad ovest si sviluppò, nel XII-X secolo a.C., la cosiddetta Cultura di Golasecca, con caratteristiche Celtiche.
Tale civiltà prende il nome dalla località di Golasecca (Provincia di Varese, sulle rive del fiume Ticino), dove, all'inizio del XIX secolo, l'abate Giovanni Battista Giani effettuò i primi ritrovamenti che ritenne testimonianze della battaglia avvenuta, durante la seconda guerra punica, tra Annibale e Scipione, tesi già sostenuta precedentemente da Carlo Amoretti, erudito viaggiatore settecentesco.
È, però, nel 1865 che Gabriel De Mortillet attribuisce tali reperti ad una civiltà autonoma preromana.
I Celti a cui, probabilmente, si deve l'origine di tale cultura erano popolazioni di ceppo indoeuropeo, che giunsero in Europa in varie ondate, provenienti dall'Asia centrale, fra il 3.500 e il 1.500 a.C., attraverso il Caucaso e il Medio Oriente; resta inteso che quei territori erano abitati da popolazioni Liguri, come lo erano gli Euganei e gli Stoni, e si assisterà ad una fusione delle culture, tanto da ritrovare poi i Celtoliguri o Celtoligi.
Le prime tre areee della cultura Celtica: Golasecca,
Hallstatt e la Tène
Le zone europee in cui si svilupparono i primi segni della cultura celtica furono, appunto, l’area di Golasecca nel XII-X secolo a.C., l’area mineraria di Hallstatt (in Alta Austria) dove diedero vita a una cultura particolare sviluppatasi intorno all’VIII secolo a.C. e, infine, il sito di La Tène (Svizzera), dove raggiunsero la massima espressione artistica, sociale e spirituale nel VI-V secolo a.C. 
Si diffusero, inoltre, nell’intero territorio austriaco e svizzero, nella Germania sud-orientale, in Francia, Belgio, Italia settentrionale, in parte dell’Europa centro-orientale, Spagna settentrionale, Balcani, Isole Britanniche, Irlanda e nell’area centrale della penisola  Anatolica.
Per quanto riguarda l'area Golasecchiana, si può presumere che la struttura sociale adottata fosse articolata gerarchicamente e che la popolazione fosse divisa in villaggi situati nei pressi delle necropoli ritrovate.
Era praticata l'agricoltura, la tessitura e l'allevamento che permetteva di produrre carne e formaggio.
L’ampia circolazione di manufatti golasecchiani a nord delle Alpi è in stretto rapporto con l’espandersi e l’aumentare del volume dei commerci dell’Etruria Padana.
Gli insediamenti golasecchiani erano di grande importanza strategica, dato che si trovavano lungo itinerari che permettevano di raggiungere i passi del San Bernardino, San Gottardo e Sempione.
Dal ritrovamento di vari suppellettili si deduce che i Golasecchiani commerciavano non solo con i Liguri, ma anche con Etruschi, Greci, con i popoli dell'Italia Centro Meridionale ed insulare, fungendo anche da intermediari con i Celti del nord (Culture di Hallstatt e di La Tène). 
La rete di scambi comprendeva la Cornovaglia, la Bretagna e la Galizia, regioni da cui proveniva lo stagno necessario alla produzione del bronzo, e dalle regioni Baltiche proveniva, invece, l'ambra.

Carta della prima cultura propriamente celtica, la
cultura di Golasecca, succeduta alla cultura
di Canegrate, da https://culturaprogress.blogspot
.com/2014/12/la-cultura-di-golasecca.html
- Ora, sia i territori in oggetto che le merci e prodotti qui riportati, fanno parte dell'oggetto dell'intesa fra le popolazioni dei Liguri, genti legate (da Liga, o Lega) da intese commerciali attraverso l'Europa da secoli.

- Il reperimento alle Arene Candide di ossidiana proveniente dall'Italia centro-meridionale ed insulare, attesta ulteriormente l'importanza del Finalese come zona di transito e di utilizzo di tale minerale già dal Neolitico. Il commercio con la Grecia, l'Italia centro meridionale ed insulare a partenza, con ogni probabilità, dalla colonia greca di Massalia (l'attuale Marsiglia), che attraversava il Finalese ed i più agevoli valichi delle Alpi Liguri e degli Appennini per la Val Bormida, la Val Scrivia e la Val Trebbia, è confermato dal ritrovamento di vasi in ceramica a figure nere di stile Attico nelle tombe delle fasi più recenti della civiltà di Golasecca. I manufatti in argilla erano ottenuti tramite l'utilizzo del tornio “primitivo”, oppure modellati a mano, gli oggetti di metallo erano invece realizzati per fusione o laminatura da materie prime estratte localmente e/o importate.
Le analisi archeometriche condotte su reperti bronzei hanno permesso di concludere che tali materiali siano frutto di scambi attraverso il Passo del Gran San Bernardo con popolazioni transalpine.
Tali commerci, similmente a quelli intercorsi con l'area golasecchiana, hanno intensificato i rapporti fra Europa Centrale e Mediterraneo.
Durante l'Età del Ferro, con l'affermarsi della Cultura di La Tène, si poté assistere ad una progressiva “Celtizzazione” di tutta l'Italia Nord Occidentale, Liguria compresa.
Il reperimento di fibule bronzee ed in ferro in quest'area, oltre le raffigurazioni di spade “antenniformi” (tipo Hallstatt e La Tène) su statue-stele non può più stupire, considerando gli intensi rapporti commerciali e culturali che il mondo Ligure intrattenne sempre con l'area celtico-golasecchiana e con quella transalpina.


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